Come impaurisci tu, piccolo inverno, che nel calar d’April sei incassato nel dì della scomparsa dell’Ariete. Le rondini scongiurano la pioggia col lor volar nervoso di carboni: i cieli poi scribacchiano vivaci. C’è ancor nell’aria un trillo vagabondo, c’è ancor un’eco che distilla luce. A un tratto non ci fu, mancava il sole, le nuvole riempirono l’azzurro; nascosto ormai il tuo ciel, ma ancora vivo. Sento il soffiar del vento e non lo vedo e l’erba che ho strappato annega l’orto ancora. Mio malgrado i fiori calco nel campo colorito, verde tela, dove sta il merlo, il mio pensar guardando, e cantano gli uccelli sconosciuti nascosti al riparo dei cipressi.